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VELLUTO BLU
(BLUE VELVET)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 5 marzo 1987
 
di David Lynch. con Isabella Rossellini, Dennis Hopper, Kyle McLachlan (Stati Uniti, 1986)
 
Lumberton, Carolina del Sud: la natura si sveglia, i colori sono più vivi che dal vero, i boscaioli vanno al lavoro. la radio locale infila canzoncine e scempiaggini. Ed il padre di Jeffrey innaffia il suo pezzetto di prato. Di colpo l'idillio si spezza. L'uomo si abbatte al suolo, la canna dell'acqua s'impenna attorcigliandosi minacciosa, la macchina da presa di David Lynch segue la testa dell`uomo in primo piano, fra l'erba. Ma non si arresta. Il cinema di Lynch (lo conosciamo dai tempi di Eraserhead e di Elephant Man) non è di quelli che si fermano quando te l'aspetti: l'obiettivo continua la sua corsa sottoterra. Fra le larve, in un intrico dantesco d'insetti in tumulto, Blue Velvet ci offre fin dalle prime immagini la chiave dei suoi splendidi misteri: mostrarci, perlomeno farci intuire il mondo che si nasconde dall'altra parte, oltre il margine del visibile. Quando il visibile è il quotidiano, il rassicurante, il normale. Privato del genitore, che rivedremo ogni tanto agganciato ai tubetti della camera di rianimazione, Jeffrey parte alla ricerca di un altro padre. Finirà per trovarlo, abnorme, maligno, caricato di tutte le iperboli dell'Inferno, nell'appartamento di Isabella Rossellini. Bianca, sconvolta, svestita (per la prima volta da quando il cinema americano filma le donne, ha scritto qualcuno) di quella sottile pellicola che sembra coprire e proteggere dall'occhio della cinepresa le attrici anche quando sono nude. Dennis Hopper e Isabella vivono tra le sembianze di un mondo diverso, irreale. A meno, a meno che l'irrealtà sia in questo, di mondo. Blue Velvet sta tutto nel passaggio continuo fra queste nozioni di realtà o di sogno, di normalità o di follia. È costruito come una vaga inchiesta poliziesca: ma l'interesse non sta tanto nello scoprire cosa si nasconde nel tragico appartamentino d'isabella. E nemmeno di sapere se l'impossibile Dennis Hopper è così mostruoso come pare.

Il tono è grottesco, le tinte sono quelle dell'iperrealismo, l'humour, feroce, nero, magari indisponente, impregna d'ogni possibilismo le situazioni più abnormi. Da una parte i colori sgargianti, le immagini stereotipate della felicità nel benessere. Dall'altra lo squallore rarefatto dei soprammobili dell'appartamento, bagnati da una luce diafana.

Il cinema di Lynch, prepotentemente, al di la di certi limiti, di certe situazioni risolte alla bell'e meglio in quello che non rimarrà forse come il più perfetto dei suoi esempi, dilata gli spazi, dilaga nella memoria per la sua facoltà di assorbire, di fagocitare l'ambiente. Così come di un ritratto del Tiziano non ricorderete se il personaggio aveva i baffi, ma coglierete per sempre l'intensità di un azzurro, così di Blue Velvet vi resterà la qualità di un'ombra, la dolcezza di quel velluto, l'ambiguità di un'improvvisa certezza. Isabella mai così nuda, Hopper mai così enorme, McLachlan mai così normale: lo sguardo di Lynch fruga nelle viscere della realtà che lo circonda. Ciò che rivela non è sempre chiaro, né tanto meno esemplare: ma è la qualità del viaggio a contare. E non certo quello della meta. Un viaggio di così sconvolgente fulgore da farci trepidare, con un'impazienza che il conformismo cinematografico ci aveva fatto ormai dimenticare, in attesa del prossimo.


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